Tajarin, suona come un vezzeggiativo e in effetti c’è dell’affetto in questo piatto della tradizione piemontese. Una pasta che regala emozioni e che, volendo fare un rapporto, sta a Langhe Monferrato Roero, come la pastasciutta sta al resto d’Italia. Nascono nelle cascine, come prelibatezza per le feste, e sono caratterizzati dal colore giallo intenso dato dall’abitudine di usare per l’impasto almeno un uovo intero per ogni etto di farina. Gli altri ingredienti sono farina e poca acqua, quindi molto essenziali, ma la ragione della loro bontà nasce dalla lavorazione: la pasta deve essere tirata a mano con un mattarello fino a ricavarne una sfoglia sottilissima che, arrotolata su sé stessa, viene tagliata in striscioline strette con il solo ausilio di un coltello. Un’operazione chiaramente riscontrabile nell’irregolarità di ciascun tajarin. Recentemente si tende ad essere clementi con gli chef che, per ragioni di tempo, si affidano alle macchine per la preparazione dell’impasto, ma il taglio non può che essere affidato alla manualità che, in alcune zone dell’astigiano, porta a tajarin molto sottili, mentre in altre a una foggia leggermente più grande. Una cottura veloce e sono pronti per essere serviti con ragù rosso con macinato di carne bovina e di maiale o semplicemente con un condimento di burro fuso e salvia, magari sotto una generosa cascata di tartufo bianco.